giovedì 17 marzo 2016

LA MALEDIZIONE DELL'ABBAZIA DI THELEMA (qualche rigo...)

  
La storia gliel'aveva raccontata il suo predecessore, Don Antonio, prima di lasciargli il posto alla parrocchia e trasferirsi a Palermo. Gli aveva parlato di quella casa abbandonata in contrada Santa Barbara, di quel losco figuro che rispondeva al nome di Aleister Crowley figlio di un demonio che era venuto dalla lontana Inghilterra a portare la maledizione di Dio su tutto il paese e di come, malgrado fossero passati tanti anni qualcuno credeva ancora che quelle stanze fossero maledette.
A mantenere viva questa credenza erano i vecchi e soprattutto quei pochi testimoni che ancora potevano raccontare del giorno in cui insieme ai carabinieri scortarono fino al treno quei figli di satana e scacciarono il diavolo che era arrivato in Sicilia per edificare il suo tempio in mezzo alla campagna cefaludese. I giovani invece ci ridevano sopra, ne avevano sentito parlare ma non ne avevano paura, anzi qualcuno ci andava apposta per pisciare sui muri.
  Il vecchio prete gli raccomandò di tenere vivo il ricordo di quei tempi perché anche se quella casa era mezza crollata e non ci abitava più nessuno da tanto tempo, rappresentava un ottimo esempio per ricordare ai fedeli quanto il diavolo può essere pericoloso e quanto è bravo ad avvicinarsi all'uomo senza che questi se ne accorga.

  Con la storia del diavolo tentatore che era arrivato in paese con la faccia di un uomo elegante e in compagnia di una donna e un bambino portando il suo influsso maligno in ogni casa, Don Antonio ci aveva campato trent'anni continuando ad alimentare nei parrocchiani il timore che quella situazione potesse ripetersi, sostenendo che solo la vicinanza alla chiesa, la carità, la confessione e la comunione dei peccati rendevano immuni dalle tentazioni. Ovviamente, le donne, proprio per la loro natura peccaminosa che si tramandava dai tempi di Eva erano le più esposte ad essere ammaliate e colpite da satana tentatore che le avrebbe trascinate nelle fiamme dell'inferno, quindi, per essere sicure di non cadere nell'inganno non potevano e non dovevano mancare ad una messa domenicale. 
E quando diceva questo alzava il dito indice della mano destra e guardava tutti con sguardo severo.....
Il romanzo sarà nelle librerie a partire dal 12 aprile
Oppure potete richiederlo qui:
http://www.edizionileucotea.it/it/

LA CRUSCA DICE CHE CON L'ARANCINO SI PUO' COLAZIONARE

Ma insomma, si dice arancino a arancina? Il presidente dell'Accademia nazionale della Crusca Francesco Sabatini, intervenuto all'istituto comprensivo Buonarroti di Palermo per presentare l'ultima edizione del suo libro, Conosco la mia lingua propende per la prima forma perché solitamente i diminutivi vanno al maschile. L'arancia è femminile, ma la trasformazione in un'altra cosa dovrebbe far cambiare il genere grammaticale. Alla fine però ha aggiunto che l'importante non è come si pronuncia ma chi lo fa meglio. Che poi maschio o femmina, a punta o rotonda, è sempre la fine del mondo.
Insomma, ultimamente pare che i quesiti più importanti, a partire da petaloso, siano legati alla lingua italiana, al modo di dire e alla capacità di inventarsi parole nuove.
Fino a poco tempo fa, ad esempio, nessuno usava il termine apericena, adesso è diventato di uso comune, ma secondo una analisi della stessa accademia della crusca, ogni giorno arrivano nuove segnalazioni. Si parte da colazionare (termine molto in voga in alcuni ambienti) a pisellabile (di cui non conosciamo il significato), da patatoso a inzuppare a watszappare e via dicendo.

Per tornare all'arancina o arancino, se vogliamo entrare in una rosticceria o un bar e usare parole nuove potremmo chiedere quella cosa profumosa pallinosa mandibolare di forma polpettosa che mangiano tutti i babbani. 
E se il barista non capisce, chiedete un'arancina alla carne.