lunedì 28 dicembre 2015

LE CICATRICI DI SAL CAT E IL DOLORE DI GEORG TRAKL

Ho visto i lavori di Sal Cat che sono esposti da alcuni giorni nel Centro d’arte Temporaneo che si trova in piazzetta Purgatorio. 
Scrivo “lavori” perché credo che il termine “opere” sia troppo abusato. Ormai tutti fanno “opere” come se la loro produzione (artistica, musicale, teatrale, poetica) meriterebbe di essere tramandata ai posteri; io non lo credo, anzi, molte volte mi sono chiesto chi ha convinto o quale strano meccanismo sia scattato nella mente di certi soggetti affinché mettessero in pubblico le loro “opere”. 
E siccome per questi ho uno spontaneo rigetto, scrivendo di Sal Cat parlerò di “lavori”.
La mostra si chiama “cicatrici”. Non voglio tediare chi leggerà questo articolo con lo spiegare quale significato possa avere questo termine, ma chiarire perché trovo interessanti i lavori di Catanzaro. Non tanto per l’uso di vari materiali (questo lo abbiamo visto in tanti altri lavori) non tanto per l’uso dei colori che già di per sé potrebbero essere il tratto distintivo di un artista né tanto meno per l’uso dei chiodi a “segnare” le cicatrici sulla tela, ma per l’Idea stessa di rappresentare la separazione, la distanza o l’unione, con un oggetto (il chiodo) che nell’immaginario collettivo rappresenta qualcosa di doloroso (i chiodi cantati nel venerdì santo quando affondano nella carne dell’uomo sulla croce) e di contro, qualcosa di “semplicemente” utile (per appendere un quadro).
Visitando la mostra ho avuto una sensazione strana. Per la prima volta dopo tanti anni mi è tornato in mente un saggio di Martin Heidegger (In cammino verso il linguaggio) e la spiegazione che il filosofo tedesco dava ad una frase (una sola frase) di una poesia di Georg Trakl.
La frase diceva “Il dolore ha pietrificato la soglia” che letta così, “semplicemente” potrebbe essere una conseguenza, un rimanere pietrificati da un inaspettato evento doloroso, ovvero il dolore pietrifica tutto ciò che il dolore stesso ha colpito, ma ad una più attenta analisi linguistica risulta chiaro che evoca un fatto già accaduto, qualcosa che dovrebbe appartenere al passato ma che come una “cicatrice” è presente e ben visibile nella soglia davanti casa. 
Che essa sia vista dall’interno o dall’esterno, testimonia il dolore.
E siccome ogni dolore lascia una “cicatrice” che il tempo (malgrado gli sforzi che potremo fare) potrà solo affievolire ma mai coprire completamente, mi sono chiesto da quale prospettiva Sal Cat guardava il mondo mentre sistemava i suoi “chiodi” al centro della sua personale “scena”. 
Si trovava all’interno della casa, impossibilitato come gli invitati di “L’angelo sterminatore” di Bunuel ad uscire? Oppure si trovava all’esterno? E se fosse stato fuori, sarebbe stato capace di entrare?
Ecco l’uso dei chiodi nei lavori di Sal Cat messi lì a dividere e al tempo stesso unire due superfici, due colori, due anime, mi ha fatto ricordare che puoi cercare di unire le due parti di uno stesso lavoro, ma non sempre hai la fortuna di avere una prospettiva privilegiata, e se non sei nelle condizioni di poter scegliere il posto giusto da dove osservare o “parlare” l’importante è trovare qualcosa (un chiodo) o qualcuno (una persona) che riesca a unire le due anime. 
A quel punto, la soglia sarà solo un passaggio verso l’oltre. O per dirla con Heidegger, un cammino verso il linguaggio.