venerdì 27 marzo 2015

UN PUNTO NEL MEDITERRANEO: MOLTI COSTI E QUALI BENEFICI?

Trovo interessante la proposta formulata dai consiglieri comunali Antonio Casciaro e Vittorio di Natale di riprendere l’iniziativa artistica ‘Un punto nel Mediterraneo”. È quanto ha dichiarato l’assessore alla Cultura e al Turismo Salvatore Monte dopo avere ricevuto il testo della proposta che secondo i consiglieri comunali di Forza Italia è maturata “valutando che nella nostra città esiste un patrimonio culturale e artistico di straordinario livello, con la presenza in particolare di pittori riconosciuti a livello internazionale per le loro opere".
Ora vorrei dire alcune cose.
Prima di tutto non mi è chiaro se la proposta è per fare “Un punto nel Mediterraneo” o “Un punto a Sciacca” perché è anche vero che a Sciacca ci sono bravi pittori, e qualcuno riconosciuto anche a livello internazionale, ma di certo lo spirito di quella iniziativa artistica era completamente diverso.
Ammettiamo che la proposta sia di fare una mostra che, insieme ad alcuni pittori saccensi raccolga anche artisti dell'area mediterranea. Ciò significa che si dovrebbero invitare artisti italiani, spagnoli, tunisini, greci, slavi etc... e non mi sembra che a Sciacca ci sia qualcuno così infilato nel mondo dell'arte da poter formulare questi inviti. Ma anche ammettendo che ci sia (magari un gallerista o un pittore che abbia conoscenze internazionali) sorge un altro problema. La partecipazione alla mostra comporta la spedizione a Sciacca delle tele con relativa assicurazione. Chi paga il trasporto? Non credo che le casse comunali possano permettersi simili esborsi di denaro. E nella esposizione delle opere ci sarà un sistema di allarme o di vigilanza? E gli artisti coinvolti saranno ospiti del comune?
E poi abbiamo il catalogo. Perché una mostra che si chiama “Un punto nel mediterraneo” che raccoglie pittori provenienti da varie nazioni o scuole non può non avere un catalogo di presentazione (e questo costa) senza contare che il catalogo dovrebbe avvalersi di una presentazione critica (e anche questa costa!) di uno studioso dell'arte serio.
Altro problema: chi sceglierà quali pittori saccensi (o dell'area agrigentina) dovranno far parte della mostra e chi invece no? Lo farà Salvatore Monte col rischio di inimicarsi gli “artisti” esclusi che minacceranno di non votarlo alle prossime elezioni o dovrà nominare un curatore? (e questo si paga).
Insomma, la proposta è stata formulata ma sarebbe stato il caso di inserire anche, almeno a titolo informativo, gli eventuali costi (trasporto, assicurazione, inviti, catalogo, curatore) che l'operazione comporta.

A meno che... non si voglia fare “Un punto a Sciacca” allora i costi si dimezzano. Ma a quel punto diventa una collettiva saccense, prendiamo i quadri di casa dei nostri artisti e li portiamo al museo Scaglione. E in ogni caso ci vuole sempre un curatore, perché nessuna amministrazione comunale ha voglia di rischiare una esclusione di un artista che poi se ne va in giro per la città a dire quante è brutta questa mostra!
Per chiudere: i costi li abbiamo (per sommi capi) analizzati. Per i benefici aspettiamo delucidazioni.

lunedì 23 marzo 2015

NELLA GIURIA DI S...CORTICANDO: UNA BELLA ESPERIENZA

Si è conclusa sabato sera la seconda edizione del festival nazionale di corti teatrali “S..Corticando”, organizzata dalla compagnia Teatroltre di Sciacca. In una serata ricca di emozioni e sorprese, come l’esibizione del cantautore saccense Ennio Salomone, è stato proclamato il vincitore di “S…Corticando 2015”: il corto “Caloiru Pispisa” della compagnia di Camastra “Ramulia” si è imposto sugli altri grazie ad una splendida interpretazione di Lillo Zarbo e all’accompagnamento con chitarra dal vivo, del musicista e regista dello spettacolo, Salvatore Nicosia. 
Devo ammettere che è stata una bella esperienza far parte della giuria composta anche da Giovanna Bongiorno, Michele Barbera, Rossana Puccio e Pippo Santangelo, ed è stato bello vedere tanta gente assistere agli spettacoli.
Devo dire che i "corti" teatrali presentati dalle varie compagnie che hanno partecipato alla manifestazione erano tutti di ottima fattura e presentavano testi interessanti. Qualcuno di essi, con qualche piccolo modifica poteva avere un successo migliore, ma alcuni autori hanno, secondo me, ecceduto nella ricerca di un nuovo "linguaggio" perdendosi nell'assurdo di
Ionescana memoria.
Comunque, tutti bravi, e bravi gli attori.
Devo fare un plauso a Franco Bruno ed alla compagnia TeatrOltre che ha organizzato la manifestazione per avermi dato la possibilità di assistere ad un "confronto" di testi e recitazione, (cosa molto rara a Sciacca) e di vedere all'opera compagnie teatrali provenienti da Genova o da Nova Siri, così come da Camastra, Licata e Sciacca. Solo confrontando i vari stili di recitazione e di scrittura si può arricchire il proprio bagaglio culturale, prendere il meglio da tutti e correggere eventuali errori.
Alla fine abbiamo stilato la classifica che ha visto al secondo posto un ex-equo tra la compagnia di Licata “Dietro le quinte” con il corto “Il bell’indifferente” e la compagnia “La Pozzanghera” di Genova con “Bitch”; mentre si è piazzato al gradino più basso del podio il “Gruppo Giano Teatro” di Nova Siri (MT) con il corto “La strategia”.
Attribuiti altri due premi: la giuria dei giovani ha premiato il corto della compagnia “Dietro le quinte” di Licata, mentre la giuria popolare ha premiato il corto della compagnia genovese “La pozzanghera”.

martedì 17 marzo 2015

#NONCOMPRATEICDDIELTONJOHN

Quando #Domenico Dolce, che tutti conosciamo per il marchio di moda e per il suo essere dichiaratamente gay ha detto a “Panorama” ("non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici") non si aspettava che quella frase potesse ritorceglisi contro e che a puntare il dito contro di lui fossero i gay. A cominciare da Elton John che si è sentito offeso per “i suoi bambini” dimenticando che i “suoi bambini” sono frutto di una pratica scientifica (la procreazione assistita) e non hanno niente a che vedere con il “suoi” di una madre. Ma come si dice: un papà difende sempre i buoi figli.
Il buon Elton ne ha dette di cotte e di crude, ha lanciato l'hastag per boicottare Dolce e Gabbana, ha dichiarato che non indosserà più i capi firmati dai due stilisti, anzi ha invitato a metterli al rogo (i vestiti). Insomma una reazione degna del miglior fondamentalista gay. E appresso a lui un'infinità di celebrità (per la maggior parte gay) da Ricky Martin a salire. In meno di ventiquattro ore, da tutto il mondo, i talebani del “progresso assistito” invitavano a non comprare i vestiti di Dolce e Gabbana, qualcuno consigliava di bruciarli. Ci mancava solo il Ku Klux Klan e quelli dell'Isis e poi c'erano tutti. Tutti scagliati contro Domenico Dolce reo di aver detto una frase che, come la definiamo?... omofoba?
Una frase omofoba detta da un gay è il massimo!
Ora, fermo restando che ognuno può pensarla come gli pare, risulta evidente la sproporzione fra la frase e la reazione di chi si è sentito direttamente tirato in causa. E' come se uno da del mafioso ad una giornalista e l'indomani tutti i giornalisti del mondo si scagliano contro il malcapitato, come se fossero una setta, una organizzazione, una P2 dei giorni nostri pronti a difendere la categoria.
A quanto pare, secondo quanto ha dichiarato Stefano Gabbana, "Tutta questa campagna è nata on line per volontà di un gruppo di attivisti gay".
Come a dire: un gay non oltranzista può essere pericoloso! Guai a non allinearsi al “moderno” pensiero delle lotte civili, perché da qualche parte, e grazie ai social network qualcuno ti mette su una bella guerra di religione con rogo in piazza di abiti griffati. Ma nei diritti civili di ogni persona, non rientra anche il diritto di esprimere la propria opinione senza essere lapidato in diretta web?

Forse per questo nessuno ha lanciato l'hastag #noncomprateicddieltonJohn

mercoledì 11 marzo 2015

UN ABBRACCIO NON E' UGUALE PER TUTTI

Sabato 7 marzo mi trovavo a Roma. Alle 21.00 avrebbero messo in scena la mia commedia al Teatro Aurelio, e nel pomeriggio sono andato a passeggiare in Via del Corso. Guardavo la varietà di gente che passeggiava, che faceva shopping, chi si limitava a guardava le vetrine. E' proprio vero, è una città multietnica. Scendendo dalla metro a Piazza di Spagna ho percorso tutta Via Condotti e arrivato in Via del Corso mi sono trovato davanti sette o otto uomini e donne mascherati con dei cartelli in mano e un ragazzo col microfono in mano che invitava a non mangiare l'agnello a Pasqua. Diceva che anche l'agnello è un essere umano e che è giusto che viva con la sua mamma e che giochi nei prati. Insomma, mangiare l'agnello a Pasqua significa essere complici di un omicidio. La sostanza era questa.
Andando più avanti, verso Piazza del Popolo c'era un signore che dipingeva su carta usando confezioni di succhi di frutta. Non ho ben capito come facesse, ma i disegni erano, come dire, luminosi e in vendita al modico prezzo di dieci euro.
Più avanti ancora, sempre in via del corso, c'era un ragazzo bendato e accanto a lui un cartello con su scritto: “Un abbraccio... “ e altro che non ricordo. Insomma, mentre una ragazza con un microfono piazzato poco distante cantava una canzoncina, lui se ne stava lì fermo e aspettava che qualcuno lo abbracciasse. Una cosa che mi è sembrata veramente bella, vedere due sconosciuti abbracciarsi in mezzo ad una via non capita tutti i giorni. Più avanti, due tunisini con le loro bancarelle di borse e roba varia taroccata.
Ad un certo punto, considerato che s'era fatto buio, la ragazza smette di cantare, il giovane si toglie la benda e raccolgono i pochi soldi che la gente ha offerto.
Poi non so come (giuro che non li ho sentiti) spuntano tra la folla di via del corso, quattro vigili urbani su rombanti e bianche motociclette BMV, altri quattro vigili urbani a piedi e si dirigono di corsa verso i due ambulanti, le moto accelerano e i due ambulanti cercano di prendere tutta la loro roba e scappare. Uno ci riesce ma deve lasciare tutto sul posto, un altro riesce a prendere tutte le sue borse e borsette e scappa per un vicolo, poi, non so perché, correndo ritorna sui suoi passi. Un vigile in motocicletta cerca di bloccargli la strada mettendo la moto di traverso ma cade, un altro vigile urbano gli si butta addosso come in un placcaggio da rugby, i due cadono e travolgono una ragazza che passava da lì. Credo che la ragazza e l'ambulante si siano fatti un po' male. Comunque, l'ambulante viene bloccato e la merce sequestrata. Un ragazzo che ha assistito alla scena (ma eravamo in tanti) cerca di protestare, ma gli dicono subito di stare zitto e limitarsi a guardare.
Non parla nemmeno la ragazza che fino a pochi minuti prima invitava tutti i passanti ad abbracciarsi ed essere felici. E questo mi è dispiaciuto molto perché mi è sembrato un atteggiamento ipocrita. Insomma, poteva andare dal vigile urbano che ha placcato l'ambulante e dirgli: “abbracciatevi e sorridete”, è quello che abbiamo chiesto fino a pochi minuti fa. Ma non l'ha fatto.
Ci sono rimasto male. Per fortuna che fino a quel momento non avevo abbracciato nessuno, soprattutto quel ragazzo bendato in mezzo a Via del Corso. Se l'avessi fatto gli avrei chiesto i soldi indietro.


martedì 10 marzo 2015

RIFLESSO SENZA IMMAGINE: UN SUCCESSO!

E' stata messa in scena a Roma, al Teatro Aurelio, la mia commedia “Riflesso senza immagine”, un lavoro al quale tenevo moltissimo e che da anni tenevo chiuso dentro un cassetto fino a quando, lo scorso anno, non ho deciso di partecipare al concorso nazionale indetto proprio dal teatro romano. Vinto il concorso, il 6 ed il 7 marzo, la commedia è andata in scena.
Perché la tenevo in un cassetto? Perché avevo paura che una interpretazione sbagliata del testo potesse stravolgere il messaggio e che l'ironia dei dialoghi potesse sfociare in ridicolo. Insomma, se recitata male, quella commedia sarebbe stata una vera boiata. Ma quando c'era la possibilità che il testo venisse recitato da una compagnia stabile di un teatro storico come l'Aurelio, allora l'ho tirata fuori dal cassetto e... eccoci.
Sono state due serate magnifiche, una recitazione perfetta con Angelina (pazza al punto giusto), Andrea (chiuso nella sua incapacità di comunicare), un calzolaio (che subisce le angherie dei due coniugi senza poter reagire) e con gli altri attori che, seppur relegati in parti minori hanno usato la gestualità (vedi la sorella e il fratello) per far capire allo spettatore lo stato d'animo e le contraddizioni dell'Essere (come diceva Heidegger) fra gli altri. E un dottore che arriva per "visitare" senza fare una visita medica.
Applausi durante lo svolgimento della commedia e cinque minuti di applausi alla fine, per tutti, compreso il sottoscritto chiamato sul palco dagli attori che voglio ringraziare ancora una volta.
Ma soprattutto, quello che ci ha dato maggior soddisfazione è stato l'apprezzamento del pubblico non solo per la bravura degli attori, ma per il testo e per il messaggio che ne è venuto fuori. Un signore mi ha detto: “mi sono prenotato per la prossima sua commedia, se metterà qualcos'altro in scena io voglio esserci”.
Riflesso senza immagine è uscito dal cassetto ed è stato emozionante ascoltare l'assordante silenzio del pubblico quando Antonio, alla fine, recita la sua dissertazione sul sipario che non si chiude mai e sulla necessità di avere un segnale convenzionale per poter uscire dal teatro.

Grazie a tutti!

mercoledì 4 marzo 2015

PICCOLI RETROSCENA DI "ASPETTANDO MR. WOLF"

L'idea di scrivere “Aspettando Mr. Wolf” mi è venuta entrando in una libreria e notando che oltre alle varie sezioni, letteratura, scienze, politica, religione, c'era anche una sezione con la scritta “mafia” e che la maggior parte di quei libri erano scritti da giornalisti più o meno famosi che però, in qualche modo avevano intervistato un mafioso (pentito) e ci avevano fatto un libro. Mi è venuto da pensare che la mafia fosse diventata un genere letterario e che i giornalisti avrebbero dovuto scrivere quelle cose sui loro giornali di riferimento e non raccogliere tutti gli appunti e pubblicarli con case editrici più o meno specializzate sull'argomento. Ma poi ho pensato che un libro va a finire nelle biblioteche (di casa e nazionali) mentre un giornale, dopo averlo letto si butta e quindi, per la notorietà futura, un bel libro scritto da un giornalista che intervista un mafioso poteva essere un buon lasciapassare per la notorietà e per uscire dall'anonimato. Insomma, non ci trovo niente di buono in questo e non credo nel pentimento di una persona che ha alle spalle decine di omicidi.
E allora ho deciso di inventarmi una intervista in cui non ci fosse niente di vero ma al tempo stesso niente di falso. Per fare questo ho letto dichiarazioni nei processi, negli interrogatori e risultanze di indagini pubblicate nel corso degli ultimi anni per capire meglio il funzionamento di un mandamento mafioso, e man mano leggevo più mi sembrava di scorgere corrispondenze con una qualsiasi organizzazione o con un soggetto qualsiasi che presume di detenere una "forma" di potere". Dal vigile urbano al direttore di una banca, fino a quei personaggi che diventano famosi come paladini dell'antimafia e poi si scopre che adottano un sistema non certo legale. Potrei dire che la "mafiosità" è prima di tutto una condizione mentale e che molte volte deriva dal "fantomatico" ruolo che si ha in società  
Non volevo dare ai miei personaggi nessuna connotazione (il mafioso è il cattivo e il giornalista è il buono), ma volevo che tutta la situazione fosse quasi paradossale, in cui il più “cattivo”, all'apparenza, fosse il direttore del carcere che si lamenta della sua condizione di sfruttato dal "sistema" e dai politici, mentre l'intervista procede senza un apparente filo logico. Non volevo dare al giornalista l'aurea di “unico titolato a parlare di mafia” e al mafioso il ruolo di “ignorante” e, a dir la verità mi è venuto abbastanza facile metterli entrambi sullo stesso piano: quello del “nuddu ammiscatu cu nenti” che cerca un momento di rivalsa e notorietà.
Infine, siccome l'intervista al mafioso rientra ormai nei canoni della letteratura e molti editori fanno a gara per accaparrarsene una, ho deciso di trasformare l'intervistatore in una sorta di Roger "Verbal" Kint, ovvero nel personaggio interpretato da #Kevin Spacey nel film “I soliti sospetti”. Per fare questo, ho dovuto modificare la parte centrale del racconto e lasciare al lettore piccoli indizi senza però svelare il risultato finale. Credo di esserci riuscito e sarà contento Keyser Söze.
In originale il titolo doveva essere “Anche Mosè era un uomo d'onore” ma considerato “troppo forte” per l'eventuale avventore delle librerie, abbiamo deciso per “Aspettando Mr. Wolf” a metà strada fra “Aspettando Godot” di Beckett e il Mister Wolf di #Quentin Tarantino che conciliava bene la perenne attesa di uscire dall'anonimato con la necessità che arrivi qualcuno a dare una spinta. Come nei libri di mafia, in cui se non hai un mafioso da intervistare rimani un anonimo giornalista.

Senza offesa per nessuno!