martedì 25 giugno 2013

IL VENDITORE DI ATTIMI SUL MAGAZINE "PERIODICO ITALIANO"

Nessuno pone fine alla propria esistenza in un posto pieno di vita. Su questo assunto si sviluppa “Il venditore di attimi”, adattamento teatrale di Mariella Gravinese del romanzo omonimo di Accursio Soldano. Una tragedia familiare che ruota attorno al protagonista, Alfred, un cuoco che ha perso il lavoro e, di conseguenza, decide di farla finita recandosi sulla riva del mare. Proprio il lavoro era stato il motivo del suo allontanamento dal padre, che non ha più visto per cinque anni e che rivede giusto in tempo sul letto di morte. Ora quel lavoro non c’è più e rischia di rovinare anche le relazioni con il resto della famiglia: il peso della responsabilità familiare incombe al punto da spingere il padre-marito a recarsi su una spiaggia e tentare il suicidio. È qui che incontra casualmente un tizio ben vestito che incomincia a raccontargli storie. Dapprima Alfred si dichiara infastidito da quei racconti, i cui protagonisti sono tutti folli: dal medico di un ospedale psichiatrico a Ian, che trascorre ormai le sue giornate all’interno di una stanza coi suoi libri di geografia, in ricordo dei viaggi trascorsi. Il tempo, però, cambia le cose. Gli ‘amici’ di cui lo sconosciuto narra, hanno terminato male la loro esistenza, decidendo di ‘chiudere’ col passato, definitivamente. E Alfred?
Posto dinnanzi al suo dilemma personale, cosa deciderà di fare? Il suicidio è là che incombe sotto le spoglie di una subdola soluzione, pronto a sollevarlo da ogni responsabilità e da ogni incertezza.
Una rappresentazione suggestiva incornicia il dramma di un uomo, che crede di non aver più nulla da perdere, che accarezza la tentazione di un gesto estremo, un attimo in grado di spazzare via ogni angoscia. Un istante  che viene spazzato via dal racconto di altre storie, altre vite, altre difficoltà. “Vendo attimi, quelli che la gente perde quando sceglie”, racconta il personaggio misterioso. E forse, è proprio di qualche attimo in più che Alfred aveva bisogno per capire meglio se stesso. Una sorpresa finale rivelerà la verità di quei racconti e darà il senso alla storia.La pièce è un’occasione per riflettere sulla irripetibilità degli attimi che compongono un’intera vita e che spesso ci lasciamo sfuggire. Racconti orribili di ordinaria follia che “se ne va passeggiando per il mondo e non c’è luogo ove non risplenda”.
Gaetano Massimo Macrì

RECENSIONE SU TEATRO.ORG

IL VENDITORE DI ATTIMI
All'origine de Il venditore di attimi c'è l'omonimo romanzo di Accursio Soldano, pubblicato nel 2012 per i tipi della Graphofeel, casa editrice romana che ha all'attivo romanzi, biografie e saggi di argomento storico.

Giornalista, siciliano di Sciacca,  Soldano nel suo romanzo racconta dell'incontro tra un suicida e un uomo misterioso e senza nome (lo verremo a sapere solo alla fine e sarà  una chiara citazione letteraria) che lo
intrattiene suo malgrado raccontandogli le vicende di alcune delle persone che dice di avere conosciuto durante i suoi viaggi, in realtà personaggi di trame di romanzi celebri.

Sodano con una scrittura curiosa, divertente e divertita,  partendo dalla convinzione, discutibile e paternalistica, che il suicidio sia una fuga e una rinuncia alla vita, compone un inno alla lettura e alla vita (compresa quella familiare, con particolare attenzione per i rapporti genitori figli) tramite  un regesto di personaggi letterari dalla fine tragica grazie ai quali il protagonista del suo romanzo riesce a far desistere l'aspirante suicida dal suo intento.

Il romanzo non è passato inosservato all'attrice e regista Mariella Gravinese, che ha deciso di trarne un
adattamento teatrale per la compagnia pesarese La nuvola, presentandola in prima nazionale al Fringe. 

Oltre a firmare la regia Gravinese interpreta il personaggio maschile misterioso che racconta le storie dei suoi amici al giovane padre di famiglia aspirante suicida, mitigando così la misoginia che, in tralice, percorre l'intero romanzo, nel quale si leggono perle come:
"Già non sopportava tutti questi predicatori in giro per la città figuriamoci se poi a farlo fosse una donna" (p. 55).
"Le donne, si sa, sono diffidenti e cominciano a fare domande. Che ci facevi in spiaggia? Mica è estate! E che ci facevi in spiaggia con un uomo? Non sarai mica diventato frocio?" (p.57).
Nell'adattamento di Gravinese rimane ben poco delle considerazioni fatte dall'io narrante del romanzo (esterno ai due personaggi) mentre le trame di romanzi sono ridotte all'essenziale,  togliendo in qualche caso un po' di prevedibilità e qualche naivetè all'originale (certe citazioni troppo scolastiche come il cartesiano cogito ergo sum, completamente fuori contesto) ma a volte anche spessore a certe riflessioni o
all'eleganza dell'impianto citazionale del romanzo.

Gravinese trova comunque una misura felice non solo nell'opera di selezione e di riduzione del testo letterario ma anche nell'allestimento teatrale potendo contare sulla propria notevole presenza scenica e su una recitazione calibratissima che sa farsi astratta quando serve e naturalistica in alcuni momenti indovinati.
Meno immediati e riusciti i personaggi interpretati da Demian Aprea e Roberto Siepi, che risentono soprattutto di una certa impacciataggine nel loro stare sul palco, caratteristica che, seguendo una buona intuizione, Gravinese non cerca di eliminare quanto di sfruttare, chiedendo a entrambi una serie di movimenti scenici e di esitazioni del personaggio con l'intento di far diventare quel loro limite cifra stilistica, riuscendoci però solo in parte.

Rimane il dubbio sul senso generale di questa riduzione che,  nonostante le scene d'apertura e di chiusura senza dialoghi, ha nella parola l'unico motore narrativo e non prova a sfruttare mai davvero le capacità visive del teatro tanto che una persona non vedente avrebbe potuto agevolmente seguire la storia raccontata senza mancare di nessuna informazione.
Una scelta dettata probabilmente anche dal senso di rispetto e di omaggio per il  testo letterario dal quale lo spettacolo è tratto, trad(uc)endo l'origine letteraria con un orizzonte naturalistico, dai rumori del mare alla birra bevuta al bar - e sulla scena si beve del cinematografico te -, che al romanzo manca.
Alessandro Paesano

UNA BELLA RECENSIONE SUL LAVORO TEATRALE

Il tempo è un’entità sfuggente, che nei millenni i filosofi hanno cercato di definire: del tempo, ci si rende conto solo dopo che è passato, o quando lo si prefigura nel futuro, ma molto raramente mentre passa, mentre accade. Gli attimi, quel frammento incommensurabilmente piccolo nel quale si può fare la differenza fra la vita e la morte, spesso non vengono percepiti in quanto tali.
Un uomo di fronte al mare, con un’intenzione precisa: farla finita. Con la vita, con la famiglia, con il lavoro, con il mondo. Far finire il mondo, e il tempo. Solo un attimo, lo divide dalla decisione sul continuare a vivere oppure terminare l’esistenza.
Ed è proprio in questo attimo di attesa, che interviene l’imponderabile: l’incontro con un’altra persona. Improvvisamente, l’attimo si dilata: appaiono storie, appaiono ricordi, immagini, emozioni. Appaiono le altre prospettive dalle quali guardare allo stesso profondissimo mare, fonte di gioia o di dolore, di nostalgia o di allegria. Quando si incontra qualcuno che la pensa diversamente da noi, sul mondo che ci circonda, ciò di cui ci si accorge è che anche noi abbiamo un pensiero e una proiezione sul mondo. Il mare, come il tempo, è sempre stato lì, ad aspettare qualcuno che lo guardasse e ne traesse ciò che gli serviva per la sua vita.
In questo coraggioso spettacolo, Mariella Gravinese e gli attori della Compagnia La Nuvola si confrontano con il lato oscuro della vita, il male di vivere che la nostra società ha bollato patologicamente come depressione, per sviscerarne il maggior numero possibile di aspetti e di declinazioni. È vero: alcune persone, non reggono il mare, e veramente, lasciano il tempo per l’eternità inconoscibile della morte. Altri, invece, lo guardano a lungo, molto a lungo, finché non rivela il suo aspetto propulsivo, dinamico.
Ed è solo allora, dopo aver affrontato i nostri lati oscuri, che finalmente nasce la danza finale dell’attore, rimasto solo sul palcoscenico, mentre si lancia in un ultimo valzer travolgente. Danza l’attore, danza il tempo che passa e l’innumerevole sequenza di attimi, in una musica che forse non finirà mai.