venerdì 30 ottobre 2009

DA GENTILE A BERLUSCONI... COSA CAMBIA?


Il 30 maggio del 1875, a Castelvetrano, nasceva Giovanni Gentile considerato ancora oggi, con il suo attualismo, uno dei maggiori filosofi contemporanei. Colui che, insieme a Giovanni Treccani creò la famosa Enciclopedia Italiana e che, per le sue numerose cariche culturali e politiche, esercitò un influsso notevole sulla cultura italiana.
Sono passati sessanta anni, da quando sulla soglia della sua abitazione a Firenze, il 15 aprile 1944, Giovanni Gentile veniva ucciso da un commando gappista. I motivi reali di quell’omicidio, nonostante la confessione di tre dei quattro componenti del “gruppo di fuoco” che spararono sette colpi di pistola, e nonostante l'assunzione della piena responsabilità politica rivendicata da Palmiro Togliatti sulle colonne de L'Unità, sono ancora oscuri. Gentile, forse, fu ucciso dai Gruppi di Azione Patriottica, perché si era esposto con un discorso decisamente filonazista all'inaugurazione dell'Accademia d'Italia nel marzo 1944, esaltando il ruolo determinante della Germania.
E pensare che all'inizio fu Marx.
Dopo la Laurea in Filosofia e l'abilitazione all'insegnamento con una tesi proprio su Karl Marx, Gentile, cominciò ad insegnare nel 1906 Storia della Filosofia all'Università di Palermo e nel 1911 dopo essere stato nominato presidente dell'associazione nazionale dei professori universitari, insegnò, sempre nello stesso ateneo, Filosofia Morale.
Poi si trasferisce a Pisa dove insegna Filosofia Teoretica, e infine, dopo avere esposto il principio della sua filosofia nel saggio “La riforma della dialettica hegeliana” pubblicato nel 1913, il trasferimento a Roma. La tesi di Gentile sulla dialettica di Hegel che tanto piacque al regime fascista era semplice. Secondo il filosofo di Castelvetrano, lo sbaglio di Hegel era stato quello di aver tentato, nella sua Scienza della Logica, una dialettica del pensato cioè del concetto, mentre al contrario, l'unica dialettica possibile, poteva essere quella del pensante, cioè del soggetto che pensa. La vera realtà diventa, quindi, il soggetto attuale del pensiero (da qui il termine attualismo). Insomma, una cosa esiste nel momento in cui la pensi, fuori dell'atto del pensiero non esiste né la natura né Dio e neppure il passato e l'avvenire, il male e il bene, l'errore e la verità.
Per spiegare questa sua tesi, Gentile scriveva: “Si prenda qualunque errore e si dimostri bene che è tale, e si vedrà che non ci sarà mai nessuno che voglia assumerne la paternità e sostenerlo”. L'errore, cioè, è errore in quanto riconosciuto e nel momento in cui è riconosciuto è superato. Insomma, nessuno porta avanti e sostiene una tesi pensando che sia sbagliata, e appena riconosce l'errore, questo è già superato. Insomma, lo stesso lavoro che fa oggi il nostro Premier: prima dice una cosa, il giorno dopo la ritratta, ed avendo in questo modo ammesso l'errore, questo è già superato: si passa avanti.
La tesi, come si può immaginare, piacque molto al governo fascista, al punto che nel 1922, con decreto del 31 ottobre lo nominò Ministro della Pubblica Istruzione nel primo governo Mussolini. A questa nomina, Gentile rispose con il “Manifesto degli intellettuali del fascismo”.
L'adesione al fascismo fu la causa della rottura con Benedetto Croce con il quale aveva collaborato nella rivista “La critica”. Dall'amicizia fra i due filosofi si passò ad una polemica puntigliosa che durò parecchi anni. Non meno critico Croce fu nei confronti di Martin Heidegger, soprattutto quando il filosofo tedesco, nel 1933, come rettore dell'Università di Friburgo, pronunciò il discorso su “L'autoaffermazione dell'università tedesca”. Il discorso, come prevedibile, suscitò reazioni negative nel mondo filosofico internazionale, e fu bollato da Benedetto Croce, come “indecente e servile”.
In effetti, la filosofia di Gentile, per la sua esigenza di collegare unitariamente tutti gli aspetti della vita pratica dell'uomo, oltre che per il legame mantenuto con il pensiero di Hegel e della destra storica, culminava in una dottrina etico-totalitaria dello Stato. Esso era visto da Gentile come il momento di unificazione della società. Davanti allo Stato individui e gruppi erano come il “relativo”, di fronte all'assoluto. Stesso discorso può essere fatto oggi. Tutto è relativo tranne il premier. Alla luce di questa visione filosofica dello Stato e dell’individuo, si capisce come il pensiero politico di Gentile possa essersi connesso strettamente col fascismo e con la visione mistica della patria.
Era naturale quindi, che al filosofo di Castelvetrano venisse affidato il compito di riformare l'assetto scolastico ispirandosi all’ideologia politica prevalente nel Paese. Riforma della scuola che, per alcuni versi è ancora valida. Gentile infatti, estese l’obbligo scolastico fino all'età di 14 anni con un corso elementare della durata di 5 anni, creò l’istituzione di scuole speciali per handicappati sensoriali della vista e dell’udito, istituì l’insegnamento obbligatorio della religione cattolica, e la creazione dell’istituto magistrale per i maestri elementari.
Nel 1943 Gentile fece atto di pubblica adesione alla Repubblica di Salò e un anno dopo venne ucciso davanti la sua casa a Firenze lasciando una serie di scritti filosofici e studi sulle tradizioni culturali delle varie regioni italiane, fra i quali un emblematico “Il tramonto della cultura siciliana”.
Oggi, si potrebbe scrivere un saggio su: Il tramonto della cultura italiana.