sabato 14 marzo 2009

IL BRIGANTE VINCENZO CAPRARO


Il termine "brigante", che comunemente designa chi vive fuori legge o comunque un nemico dell'ordine pubblico, ha acquistato nel tempo anche un significato ideologico e indica, in senso spregiativo, chi si è opposto con le armi ad un nuovo ordine e venne usato in Italia per indicare i componenti delle bande che si sollevavano in armi contro gli invasori. Il fenomeno assume rilievo particolare nelle province napoletane, dove, sia nel 1799 sia nel 1806, le bande - guidate da popolani, da borghesi e anche da sacerdoti, e che raccolgono impiegati, soldati sbandati, contadini e pastori – erano a difesa della loro patria e la loro religione.
Per comprendere il brigantaggio bisogna partire da un cambio dinastico: i Savoia presero il posto dei Borboni, ed assoggettarono l’intero Mezzogiorno al Regno di Sardegna. Ciò comportò una serie di "cause immediate", che associate a quelle "già in atto" generarono il brigantaggio. Tra le cause immediate vanno annoverate il vuoto di forze politiche e militari filopiemontesi, la linea politica antidemocratica ed impopolare voluta dal governo di Torino con aumento del prezzo del pane, dell’olio e del sale e la coscrizione militare, e i forti e laceranti contrasti sociali tra "cafoni e galantuomini.
La legge sull’obbligo di leva poi, favorì il fenomeno della diserzione, e, dal 1861 al 1863, vi furono circa 25.000 disertori. Il Governo però fece votare la legge marziale (legge Pica) che portò alla repressione, provocando 2.500 morti e la condanna di 2.800 ribelli. Molti briganti vennero fucilati prima di un processo perché l’ordine dato ai generali era quello di spargere al Sud un “salutare terrore”.
In Tale condizione i siciliani all'ingiustizia statale cominciarono a preferire la giustizia semplice e, ai loro occhi, efficace, di organizzazioni settarie come l'onorata società" che almeno in quel periodo toglieva al ricco per dare al povero. La mafia che si sviluppò nella parte occidentale dell’Isola era società segreta in cui regnava l’illegalità e in cui il coraggio individuale suscitava il favore e la stima.
Ma queli erano le ragione che spingevano un uomo a diventare brigante?
Fra questi briganti, ce n’era uno sciacchitano. Vincenzo Capraro. Figlio di pastori, anche lui aveva seguito il mestiere del genitore e come tutti i pastori intelligenti e laboriosi ottenne la sua promozione a fattore nella fattoria del signor Casandra. Il fattore però, scrisse il giornale di Sicilia nell’autunno del 1978, scoprì ben presto che Capraro era un malandrino di prim’ordine

Il malandrino di prim’ordine era Vincenzo Capraro, un brigante a capo di una banda. I suoi quattordici gregari erano di Sambuca, di Contessa, di Giuliana, Santa Margherita e Castronuovo comuni posti sui confini della provincia di Girgenti con quella di Palermo. Nessuno dei gregari era di Sciacca.
Le devastazioni, ribellioni armate, estorsioni e ricatti della banda Capraro dal 1868 al 1878 furono innumerevoli, i soli reati principali denunciati e conosciuti, in questi 10 anni di brigantaggio, furono quasi 40 e fra essi erano ben nove sequestri di persona. Il quartiere generale di Capraro era ubicato nelle montagne tra Giuliana, Burgio e S. Margherita, al confine tra le province di Agrigento, Palermo e Trapani. Come altri briganti, Capraro aveva scelto una località di confine fra diverse province per sottrarsi alla sfera di competenza delle relative polizie.
Craparo brigante o semplice delinquente?

Sulla banda Capraro sul mutuo soccorso fra le bande armate operanti nelle province occidentali dell'isola sulle protezioni che le stesse bande godevano, il Prefetto di Palermo, in un rapporto di Gabinetto del 30 luglio 1874, scriveva: "L’unica vera banda, composta non si sa con precisione se di 9 o più malfattori tutti a cavallo, sarebbe quella comandata dal Capraro nella provincia di Girgenti e questa, com’è solito fare appena passato l’inverno, è a fare le sue scorrerie in questa provincia. La banda di Capraro divenne ancora più potente e pericolosa, quando vi si unirono i banditi Leone, Di Pasquale, Rocca e Rinaldi.
Con Placido Rinaldi, nell’aprile del 1875, spalleggiato dai briganti Alfano e Merlo, Vincenzo Capraro cercò di sequestrare, il possidente Stivala di Cerami. Fu quello, l’ultimo atto del brigante sciacchitano. Nel giugno del 1875 infatti, Capraro cadde nella trappola tesagli dalle forze dell’ordine e venne ucciso nel conflitto a fuoco che ne seguì; i giornali riportarono con rilievo la notizia della fine del pericoloso elemento.
Il "Giornale di Sicilia" del 4 Ottobre seguente, riferendosi a quanto aveva pubblicato la "Gazzetta di Girgenti" del 2 Ottobre, scrieva fra l’altro: "Il feroce e famigerato Vincenzo Capraro che da molti anni teneva in allarme con le sue audaci e sanguinarie imprese la provincia di Palermo, la nostra e quella di Trapani, e nel quale era personificata la vera mafia malandrinesca militante, quest’uomo insozzato dei più audaci e nefandi misfatti, che viveva coi suoi di ogni sorta di ruberie, che negli scontri frequenti con la forza pubblica vide in passato cadere a sé d’intorno ed arrestati e uccisi i più audaci e feroci briganti della Sicilia senza incapparvi esso mai, fece anch’egli la fine comune ed inevitabile a tutti i masnadieri, vale a dire cadde ucciso sotto il piombo della forza pubblica".
A.S.