giovedì 23 aprile 2009

RICOSTRUZIONE DA RICOSTRUIRE

di Accursio Soldano
Il terremoto in Abruzzo ha riacceso, negli abitanti della valle del Belice colpita dal terremoto, vecchi dubbi, e riportato alla luce vecchie pratiche lasciate nei cassetti.
Nei paesi dove la ricostruzione, a quarant'anni dal sisma continua ancora, dove in alcune zone manca ancora l'illuminazione pubblica e le fognature, il recente terremoto che ha colpito la regione del centro Italia ha messo paura e posto delle domande: anche le abitazioni costruite dopo il terremoto del Belice sono state fatte usando materiale scadente?.
Nei paesi come Montevago, Santa Margherita Belice, Menfi e in tutti gli altri comuni dove la ricostruzione non è ancora finita, gli abitanti si ritrovano a guardare le loro abitazioni e gli edifici pubblici sperando che la ricostruzione post terremoto sia stata fatta bene e che gli edifici siano stati costruiti seguendo le regole. Ma così non è!
“Tutti i progetti presentati –ci dice il sindaco di Montevago Antonino Barrile che ha fatto parte della commissione ex articolo 5 ed aveva il compito di approvare i progetti– rispondevano alle normative antisismiche. Ma non credo che nessuno abbia mai fatto dei controlli sui materiali che venivano usati e non potrei garantire che al momento della ricostruzione siano state rispettate tutte le normative”.
Insomma, una cosa è il progetto presentato sulla carta ed approvato dalla commissione, altra cosa la messa in opera dello stesso. Nessun controllo da parte di nessuno.
La preoccupazione, che anche al sud, le abitazioni e gli edifici pubblici post-terremoto siano stati costruite male, ormai è diventata quasi certezza. Scuole, edifici comunali, chiese, asili, quasi tutti gli edifici pubblici del piccolo paese montano presentano crepe e, in molti casi, progetti di ristrutturazione presentati alla Regione e finiti nel dimenticatoio.
E se per la procura della Repubblica dell’Aquila l’ipotesi di reato è disastro colposo, eventuali crolli di edifici nei centri storici dei paesi del belice porterebbe a conseguenze ancora più gravi. Perché quelle case, quelle scuole e quelle chiese, costruite dopo il terremoto dovrebbero rispondere a criteri antisismici, dovrebbero essere sicure e figlie di una esperienza disastrosa, ed invece, così sembra che non sia.
A Montevago, paese completamente distrutto dal terremoto e ricostruito in una posizione diversa dall’originaria, i pilastri in cemento armato che sostengono una parte dell’edificio che ospita il comune presentano preoccupanti crepe. Uno di questi, è stato addirittura sostituito da un pilastro in ferro.
“Il problema del centro civico è serio, -ci dice l'ex sindaco Calogero Impastato- l'edificio che ospita il comune è seriamente danneggiato e pericolante. Ci sono dei pilastri collassati. Per evitare il crollo, c'era già stato un primo intervento con il posizionamento di pilastri in ferro ed avevamo presentato un progetto all'assessorato regionale ai lavori pubblici. Ma onestamente non so che fine abbia fatto e in quale cassetto sia stato buttato”
Insomma, malgrado la presentazione di due progetti di ristrutturazione, a Montevago si registra il silenzio da parte della Regione siciliana.
Ma non solo l'edificio comunale. La Chiesa, non ha uscite di sicurezza e gli edifici che ospitano scuole pubbliche hanno già subito interventi di restauro e consolidamento.
“Subito dopo la ricostruzione -continua l'ex sindaco Calogero Impastato- ci siamo accorti che c'erano edifici pubblici pericolanti. La scuola media era in uno stato di pericolo, presentava infiltrazioni d'acqua e siamo intervenuti con la redazione di progetti che poi abbiamo realizzato. Stessa situazione per quel che riguarda la scuola materna. Una cosa è sicura, gli edifici costruiti col denaro pubblico sono stati fatti, probabilmente, sia con materiale scadente, sia, da parte delle imprese, con poca attenzione. O almeno non tanto quanta ne meriterebbe una zona sismica come quella di Montevago.
Eppure, per quel che riguarda le opere pubbliche e private, ci doveva essere una commissione di vigilanza, ci dovrebbero essere prove di laboratorio, commissioni di collaudo, un sistema che garantisce che le imprese siano qualificate, una responsabilità del produttore di calcestruzzo, del costruttore, del direttore lavori. Ma quel che risulta chiaro a tutti è che, nella fretta e nella disperazione della ricostruzione, nessuno ha effettuato controlli e probabilmente molte costruzioni, oggi, come quarant'anni addietro, non resisterebbero ad una eventuale scossa tellurica.
“La situazione è quella che è -ci dice il sindaco Antonino Barrile- per chiudere la pratica servirebbero ancora 17 milioni di euro, ma se teniamo conto che dei 50 milioni previsti dalla Finanziaria Prodi, il governo Berlusconi ne ha tolti ben dodici, parlare di ricostruzione, diventa ridicolo. E' il momento di pensare ad uno sviluppo socio economico, e per questo ci vuole un intervento deciso dello Stato. In caso contrario, anche ricostruire le abitazioni diventa superfluo, perché senza futuro, la gente continuerà ad emigrare”.
Ma se la ricostruzione va avanti, nel marzo del 2006 si è chiuso il capitolo delle baraccopoli nei paesi della valle del Belice colpite dal sisma e se n’è aperto un altro: quello degli affitti a carico del bilancio della Regione.
Le ruspe, su indicazione del Dipartimento della Protezione civile della Regione siciliana demolirono le baracche ancora in piedi, e procedettero alla riqualificazione delle aree. Un costo di quasi 7 milioni di euro per eliminare definitivamente le baraccopoli esistenti nei comuni di Santa Margherita, Menfi, Vita e Partanna, mentre a Poggioreale e Salaparuta si è proceduto alla bonifica delle aree. Tutte le famiglie che ancora abitavano in baracche sono state trasferite in alloggi privati, con affitto a carico della Regione siciliana. E sono ancora lì.
A Menfi sono quasi 100 le famiglie in attesa della costruzione di 75 alloggi, ma la ditta che si è aggiudicata l’appalto e che doveva cominciare i lavori nel novembre scorso, ha poi rinunciato.
Ma se in questi paesi, dove le baracche avevano il tetto in eternit, il rischio era quello di contrarre malattie polmonari, a Montevago, dove ancora la ricostruzione non è finita, la situazione è diversa. Le vecchie baracche in legno del villaggio “Trieste”, nella maggior parte dei casi sono state trasformate in piccole villette unifamiliari con giardino intorno, buone per le vacanze estive o per brevi affitti mentre quelle del villaggio “Tempo” hanno ancora il tetto in amianto e aspettano solo un’opera di bonifica. Ma nessuno parla di demolizione.

venerdì 17 aprile 2009

PRIMA O POI... CROLLA TUTTO

di Accursio Soldano
Ponte della Perriera, città di Sciacca. Un serpentone di auto procede a passo di lumaca. Ci vogliono circa 15 minuti per arrivare dalla Perriera in via Ovidio, transitando sul ponte. Il motivo di questo traffico è presto detto: la frana di via Amendola, interrotta al traffico veicolare a seguito del cedimento del muro di sostegno che reggeva la strada. La strada, si sta spezzando a metà, a causa del peso che la frana sta provocando sul tratto di asfalto sano. Se non si interverrà in tempi brevissimi ci ritroveremo con una vera e propria voragine.
Località stazzone. Cosa impedisce di effettuare la manutenzione in località stazzone? I lavori in corso per il Parf? I consueti ritardi burocratici? La mancanza di soldi per comprare un po’ di asfalto?
E cosa impedisce di intervenire nei pressi del tribunale di Sciacca, in via Salvatore Allende? Proprio all’altezza del curvone panoramico che porta in via Giovanni Amendola un vistosissimo dislivello è sotto gli occhi di tutti. E, allora, ci si chiede, quale causa pendente impedisce di intervenire in quest’occasione?
E se la frana di via Amendola continua inarrestabile il suo lento declino, quale controversia giuridica è in atto in via Lido? Cosa impedisce un’attenta e immediata manutenzione in questo tratto di strada? L’asfalto non esiste più, il guard rail è sprofondato, e non è una situazione nuova. Quel tratto di via Lido è in questa condizione da anni, sembra che nessuno riesca a trovare una soluzione. Non l’ha trovata la vecchia amministrazione, non la trova l’attuale.

E non è migliore la situazione delle strade che costeggiano le nostre spiagge. Basta guardare come è ridotta via Ulisse, la strada che collega la città alla località balneare di San Marco, e come sono ridotte le strade, se così si possono chiamare, di località San Giorgio. La sensazione è che siamo in una situazione di lascismo totale. In attesa di tempi migliori.

Ma una considerazione va fatta, e credo sia importante. Tutti i crolli, i cedimenti, gli avvallamenti, interessano strade costruite durante la speculazione edilizia degli anni 70, quando ci fu la corsa alla cementificazione della Perriera. In quei casi, basta buttare un po' di terra di riporto e creare una strada accanto al palazzone. Una strada che prima o poi crollerà.

E se le strade crollano, se rimangono nel dimenticatoio degli uffici tecnici, non meno preoccupante è la situazione degli edifici privati che, ormai vecchi e abbandonati, stanno crollando sotto il peso degli anni e delle piogge che si infiltrano nei muri.

Via cristoforo colombo: Due crolli nell’ultimo mese, l’ultimo ha interessato un pezzo di muro e una parte del tetto di una abitazione, e ha visto l’intervento dei vigili del fuoco e dei carabinieri. Due gli interventi messi in atto. Le strisce che delimitano la corsia di marcia in entrambi i lati della carreggiata e il transennameno con pali e recinsione dell’abitazione che, ancora oggi presenta punti critici.
Non è cessato il rischio crolli, e fino a quando non si risolve il problema, vento e pioggia possono indebolire ancora di più la struttura e far crollare quell’altra parte di tetto ancora in piedi, senza contare che la gran quantità di calcinacci e di travi che si trovano all’interno della struttura, derivanti da precedenti crolli, premono contro la facciata principale.
Ma non è la sola abitazione in quelle condizioni. Così come le strade, anche le vecchie abitazioni, al porto, nel rione San Michele, in via castello, crollano a pezzi e nessuno prende provvedimenti seri.
Speriamo di non arrivare al crollo totale. Non solo di quelle case, ma anche della speranza.

venerdì 10 aprile 2009

MANIFESTO CONTRO ARTICOLO: LA NUOVA FRONTIERA DELLA COMUNICAZIONE


La pubblicità, come si sa, è l’anima del commercio. E malgrado l’avvento del web, non si rinuncia al vecchio manifesto appeso nelle vie cittadine o nei bar, o negli esercizi commerciali. Capita quindi di trovare manifesti che invitano ad una petizione popolare contro la privatizzazione dell’acqua, quello che ti dice come curare l’influenza o, per restare in tema medico, il manifesto che ti annuncia la giornata del diabete. Tutti, in qualche modo, possono interessare i cittadini.
Ancora di più, se il manifesto ti dice che c’è un lavoro per te, o come fare per prendere la patente europea.
Li trovi dappertutto, in ogni città e dentro ogni bar per informare tutti i cittadini. Ma a Santa Margherita belice c’è una nuova frontiera del manifesto, quello a carattere personale.
Nei bar e negli esercizi commerciali infatti, l’amministrazione comunale ha fatto affiggere un manifesto che, lasciando da parte gli evidenti orrori di italiano, non interessava tutta la cittadinanza, ma era una evidente risposta ad un articolo pubblicato su un settimanale locale, la specula. Nell’articolo si parlava della biblioteca comunale. Per tutta risposta, l’amministrazione comunale, invece di scrivere alla redazione del giornale, ha stampato i manifesti e li ha fatto affiggere in città. Con sorpresa di quei cittadini che magari non leggono il giornale locale e si sono trovati di fronte un manifesto incomprensibile, e con maggiore sorpresa di quelli che, leggono il giornale e si chiedono perché spendere soldi comunali per rispondere ad un articolo su un giornale locale.
E meno male che era locale, dove sarebbero quei manifesti se l'articolo fosse stato pubblicato su un quotidiano nazionale?
Che sia questa la nuova frontiera della comunicazione globale?