martedì 31 marzo 2009

CHI E' SENZA PECCATO...


L'MPA e il PD di Sciacca, che nei giorni scorsi apparivano d'amore e d'accordo contro il sindaco uscente Mario Turturici, cominciano a fare i conti con la torta in palio e a porre paletti e condizioni. "Siamo pronti a dialogare con il Partito Democratico, ma solo partendo da un candidato a sindaco da noi proposto. Convergiamo su molti passaggi - dice Pippo Turco - ci siamo già incontrati e condividiamo le critiche all'attuale gestione politico amministrativa, ma si potrà discutere di alleanze solo se il Pd dirà di si ad un progetto che abbia come candidato a sindaco una personalità proposta dal Mpa. Come a dire: noi proponiamo un candidato a sindaco che il Popolo delle libertà non accetterebbe mai, voi ci aiutate e vediamo cosa si può fare!

La cosa buffa, indipendentemente da questi giochi politici che tutti ormai conoscono a memoria, è che l'MPA di Sciacca critica a Mario Turturici l'allenza con Ignazio Messina che sarebbe esponente dell'Italia dei valori, ma gli stessi esponenti dell'MPA non hanno remore ad un accordo trasversale con il maggior partito del centro-sinistra. Se valesse il detto: chi è senza peccato scagli la prima pietra, per alcuni ci sarebbe la lapidazione.

In tanti anni di campagne elettorali ne ho visti di tutti i colori. Gente che vuole assolutamente essere nominato assessore per meriti di partito, o di impegno auto-celebrativo, altri che si candidano a sindaco per "fari scrusciu" per poi sparire dietro un incarico ben retribuito in qualche provincia siciliana, altri ancora che minacciano di far perdere chissà quanti voti alla coalizione per poi ritrovarsi a non avere neppure i voti della famiglia e quelli che si vendono per un po' di visibilità.

Per anni ho fatto campagna elettorale per il candidato di sinistra o di centro-sinistra o per l'amico o il conoscente, risultato? la convinzione che se mi fossi candidato io avrei fatto una figura migliore! Magari non sarei stato eletto... non ho una grande famiglia alle spalle, né sindacati o mutuati o clienti, ma di certo, anche da non eletto la convinzione che negli ultimi 15 anni, almeno 6 assessori e 20 consiglieri se ne potevano stare a casa, non me la toglie nessuno.

sabato 14 marzo 2009

IL BRIGANTE VINCENZO CAPRARO


Il termine "brigante", che comunemente designa chi vive fuori legge o comunque un nemico dell'ordine pubblico, ha acquistato nel tempo anche un significato ideologico e indica, in senso spregiativo, chi si è opposto con le armi ad un nuovo ordine e venne usato in Italia per indicare i componenti delle bande che si sollevavano in armi contro gli invasori. Il fenomeno assume rilievo particolare nelle province napoletane, dove, sia nel 1799 sia nel 1806, le bande - guidate da popolani, da borghesi e anche da sacerdoti, e che raccolgono impiegati, soldati sbandati, contadini e pastori – erano a difesa della loro patria e la loro religione.
Per comprendere il brigantaggio bisogna partire da un cambio dinastico: i Savoia presero il posto dei Borboni, ed assoggettarono l’intero Mezzogiorno al Regno di Sardegna. Ciò comportò una serie di "cause immediate", che associate a quelle "già in atto" generarono il brigantaggio. Tra le cause immediate vanno annoverate il vuoto di forze politiche e militari filopiemontesi, la linea politica antidemocratica ed impopolare voluta dal governo di Torino con aumento del prezzo del pane, dell’olio e del sale e la coscrizione militare, e i forti e laceranti contrasti sociali tra "cafoni e galantuomini.
La legge sull’obbligo di leva poi, favorì il fenomeno della diserzione, e, dal 1861 al 1863, vi furono circa 25.000 disertori. Il Governo però fece votare la legge marziale (legge Pica) che portò alla repressione, provocando 2.500 morti e la condanna di 2.800 ribelli. Molti briganti vennero fucilati prima di un processo perché l’ordine dato ai generali era quello di spargere al Sud un “salutare terrore”.
In Tale condizione i siciliani all'ingiustizia statale cominciarono a preferire la giustizia semplice e, ai loro occhi, efficace, di organizzazioni settarie come l'onorata società" che almeno in quel periodo toglieva al ricco per dare al povero. La mafia che si sviluppò nella parte occidentale dell’Isola era società segreta in cui regnava l’illegalità e in cui il coraggio individuale suscitava il favore e la stima.
Ma queli erano le ragione che spingevano un uomo a diventare brigante?
Fra questi briganti, ce n’era uno sciacchitano. Vincenzo Capraro. Figlio di pastori, anche lui aveva seguito il mestiere del genitore e come tutti i pastori intelligenti e laboriosi ottenne la sua promozione a fattore nella fattoria del signor Casandra. Il fattore però, scrisse il giornale di Sicilia nell’autunno del 1978, scoprì ben presto che Capraro era un malandrino di prim’ordine

Il malandrino di prim’ordine era Vincenzo Capraro, un brigante a capo di una banda. I suoi quattordici gregari erano di Sambuca, di Contessa, di Giuliana, Santa Margherita e Castronuovo comuni posti sui confini della provincia di Girgenti con quella di Palermo. Nessuno dei gregari era di Sciacca.
Le devastazioni, ribellioni armate, estorsioni e ricatti della banda Capraro dal 1868 al 1878 furono innumerevoli, i soli reati principali denunciati e conosciuti, in questi 10 anni di brigantaggio, furono quasi 40 e fra essi erano ben nove sequestri di persona. Il quartiere generale di Capraro era ubicato nelle montagne tra Giuliana, Burgio e S. Margherita, al confine tra le province di Agrigento, Palermo e Trapani. Come altri briganti, Capraro aveva scelto una località di confine fra diverse province per sottrarsi alla sfera di competenza delle relative polizie.
Craparo brigante o semplice delinquente?

Sulla banda Capraro sul mutuo soccorso fra le bande armate operanti nelle province occidentali dell'isola sulle protezioni che le stesse bande godevano, il Prefetto di Palermo, in un rapporto di Gabinetto del 30 luglio 1874, scriveva: "L’unica vera banda, composta non si sa con precisione se di 9 o più malfattori tutti a cavallo, sarebbe quella comandata dal Capraro nella provincia di Girgenti e questa, com’è solito fare appena passato l’inverno, è a fare le sue scorrerie in questa provincia. La banda di Capraro divenne ancora più potente e pericolosa, quando vi si unirono i banditi Leone, Di Pasquale, Rocca e Rinaldi.
Con Placido Rinaldi, nell’aprile del 1875, spalleggiato dai briganti Alfano e Merlo, Vincenzo Capraro cercò di sequestrare, il possidente Stivala di Cerami. Fu quello, l’ultimo atto del brigante sciacchitano. Nel giugno del 1875 infatti, Capraro cadde nella trappola tesagli dalle forze dell’ordine e venne ucciso nel conflitto a fuoco che ne seguì; i giornali riportarono con rilievo la notizia della fine del pericoloso elemento.
Il "Giornale di Sicilia" del 4 Ottobre seguente, riferendosi a quanto aveva pubblicato la "Gazzetta di Girgenti" del 2 Ottobre, scrieva fra l’altro: "Il feroce e famigerato Vincenzo Capraro che da molti anni teneva in allarme con le sue audaci e sanguinarie imprese la provincia di Palermo, la nostra e quella di Trapani, e nel quale era personificata la vera mafia malandrinesca militante, quest’uomo insozzato dei più audaci e nefandi misfatti, che viveva coi suoi di ogni sorta di ruberie, che negli scontri frequenti con la forza pubblica vide in passato cadere a sé d’intorno ed arrestati e uccisi i più audaci e feroci briganti della Sicilia senza incapparvi esso mai, fece anch’egli la fine comune ed inevitabile a tutti i masnadieri, vale a dire cadde ucciso sotto il piombo della forza pubblica".
A.S.

mercoledì 11 marzo 2009

GIOCHI E AFFARI DI MAFIA


In provincia di Agrigento, ci sono almeno tre sale da gioco in ogni paese. Un giro di denaro ammontante a svariati milioni, in una provincia in cui il tasso di disoccupazione è il più alto d’italia e dove tanti padri di famiglia non arrivano a fine mese. Eppure le sale da gioco sono sempre piene. La Guardia di Finanza del comando provinciale, agli ordini del tenente colonnello Vincenzo Raffo, ha avviato una indagine proprio nel campo della gestione di questo nuovo businnes fatto da macchinette mangiasoldi, poker on line e giochi vari.
Ma non solo per preservare i padri di famiglia da eventuali irreparabili danni, ma soprattutto perché le sale da gioco sono tra gli affari più redditizi di Cosa Nostra. Lo ha confermato il mese scorso Andrea Bonaccorso, pentito del clan Lo Piccolo, ai magistrati. Il collaboratore ha raccontato che i Santapaola di Catania e i Fontana dell’Acquasanta avrebbero investito nel business dei centri scommesse a Bagheria ed ha ricordato quando Pino Scaduto, ritenuto il capomafia di Bagheria, mandò Sergio Flamia a riscuotere l’estorsione all’agenzia di bookmakers vicina ai Santapaola.
Anche un altro pentito, Maurizio Spataro, ha parlato dell’affare scommesse facendo riferimento al danneggiamento subito nel febbraio 2007 dall’agenzia palermitana “Forza 13” di Via De Gasperi. Nella sua recente relazione la Direzione Nazionale Antimafia evidenzia come poker on line, macchinette nei bar, sale giochi, sono indispensabili ai boss per riciclare denaro sporco ed avverte che le infiltrazioni mafiose possono interessare “sia l’assetto societario delle concessionarie, sia la possibilità che a soggetti incensurati, titolari di concessioni o di licenze per singole sale giochi, si affianchino soci occulti inseriti organicamente nella criminalità organizzata”.
La Guardia di Finanza di Agrigento indaga, anche per preservare tante famiglie letteralmente prese dal vizio del gioco che in tanti casi porta alla rovina sociale ed economica. Ed a Sciacca (così come in altri paesi9 abbiamo avuto esempi eclatanti, con gente che ha perso casa e lavoro.

sabato 7 marzo 2009

IL CIRCO PIERANTONI

di Accursio Soldano
C'era un tempo in cui quando arrivava il circo, eravamo tutti felici. Finalmente arrivava lo spettacolo, con numeri stupefacenti. I loro camion colorati e i clown dipinti sulle fiancate ravvivavano la città. Erano piccoli circhi, ma riuscivano a portare tanta felicità. Nella zona dove abitavo io c'era una piccola piazzetta, il rione fratelli bandiera, e ogni anno, puntualmente arrivava il Circo Pierantoni. Quattro tiranti piantati per terra e via al montaggio del tendone a strisce giallo e blu. La piazza era piccola, ma anche col tendone montato, c'era spazio per il traffico veicolare.
A quel tempo c'era solo un cinema che proiettava a settimane alterne le eroiche gesta di Maciste e di Ercole, e i film di Franchi e Ingrassia, non c'era internet, e in pochi avevano la televisione. Il circo era la novità che tutti aspettavano per un anno intero, e quando arrivava, in quella piazza posta al centro di un complesso di case popolari, la gente si lanciava in una spontanea gara di solidarietà.
Era come se la famiglia si allargasse, come se fossero arrivati i parenti da un'altra città.
Mia madre forniva l'elettricità per le luci lampeggianti della cassa, la nostra vicina di casa lasciava il cancello aperto, ed ogni tanto arrivava qualcuno del circo a riempire un bidone d'acqua, sia per gli animali che per il loro fabbisogno; non ci si poteva permettere il lusso di comprare l'acqua minerale. In cambio, i bambini curiosavano, chiedevano, volevano scoprire i segreti. Come faceva quella bella ragazza a camminare su quel filo posto a due metri di altezza? Qual era il segreto di quel ragazzo che si infilava in bocca una torcia e sputava fuoco? Mi svelò il trucco una mattina, dentro la sua roulotte, e fu per me la fine di un mito.
Ma il Circo Pierantoni era una famiglia, faceva parte della famiglia, di tutti, a volte rimaneva nella stessa piazza per quasi un mese. E ricordo ancora la gente che, seduta su quelle gradinate fatte con tavole di legno, seguiva attentamente, anche alla ventesima replica, “O zappatore”, la Cavalleria rusticana, o la storia di Peppino Musolino, ed alla fine del secondo tempo, quando la recita finiva, tirava fuori dalle tasche i fazzoletti. Poi tutti a casa. Anche oggi il circo aveva concluso il suo spettacolo. Pierantoni era il Mario Merola siciliano.
Giovanni Lozopone, ma come dichiara lui stesso, “nessuno mi conosce con questo nome”, è nato a Marsiglia, in Francia, ma dall'età di 8 anni abita in Sicilia e ha passato tutta la sua vita nel circo. Prima insieme al padre, poi, dal 1961 con un proprio circo regionale, ha cominciato a viaggiare per paesi e città portando in giro il nome di un colonnello della casa di Pinerolo.
“Quando mio nonno morì, cadendo dal trapezio, Rodolfo Pierantoni, anche lui circense e titolare del circo dove lavoravano i miei nonni, si offrì di fare da tutore a mio padre, mio zio e mia zia, che a quel tempo erano giovanissimi. Crescendo con lui, siamo stati, da sempre, conosciuti come i figli di Pierantoni”
Fino al 1993, quando, per ragioni d'età, deise di chiudere la sua attività circense. L'ultima serata è stata a Lentini, con un incasso di 3 milioni: un grande incasso per quei tempi. Quello fu l'ultimo spettacolo del Circo Pierantoni,
Oggi Giovanni Lozopone, meglio conosciuto come Gianni Pierantoni, ha 79 anni, vive a Francofonte dove ha acquistato un piccolo pezzo di terra e ci ha messo su le giostre per i bambini. Ma la tradizione continua, sua figlia Egle adesso fa parte della grande famiglia Togni.